liberi di scrivere: un'intervista a Maurizio De Giovanni

 

Benvenuto Maurizio su Liberidiscrivere e grazie di aver accettato la nostra intervista. Per prima cosa mi piacerebbe sapere qualcosa di più di te. Dove sei nato, che studi hai fatto, qualche tuo pregio e qualche tuo difetto.

R. Grazie a voi di avermi invitato in un “luogo” che da lettore incallito ho sempre frequentato con grande piacere. Sono napoletano nel corpo e nell’anima; sono nato nel 1958, un ariete testardo e permaloso un po’ soggetto a sbalzi d’umore, sempre sospeso tra euforia e malinconie ingiustificate. Ho studiato lettere classiche, poi la prematura morte di mio padre, che aveva cinquant’anni, mi ha spinto alla ricerca di un rassicurante e un po’ grigio “posto fisso” che mi ha fatto accantonare per quasi trent’anni ogni aspirazione creativa. Intendiamoci, sono ben lieto di aver avuto un lavoro che mi ha dato anche molte soddisfazioni; ma oggi credo che avrei potuto cominciare anche un po’ prima a scrivere.

Raccontami qualcosa della tua Napoli, qualche squarcio caratteristico per far luce su una città viscerale, splendida e nello stesso tempo tragica. La ami, la odi? Come si vive all’ombra del Vesuvio?

R. Dico sempre che della mia città ho un’immagine stratificata, come una cipolla in cui ogni livello sia di sapore, odore e colore differente dagli altri. Si offre costantemente a piani di lettura diversi e a qualunque approfondimento si voglia fare. Qualsiasi interpretazione non può comunque prescindere dai registri umoristico e noir; più di ogni altro luogo nel mondo, Napoli è ironica e ferita, addolorata e divertente. Non è facile viverci, anzi spesso si ha l’impressione di attraversare la giungla; ma devi credermi se ti dico che un napoletano altrove, per benissimo che possa trovarsi, sentirà sempre mancargli un pezzo fondamentale.

Che lavori hai fatto prima di dedicarti alla scrittura? Si può vivere di scrittura al giorno d’oggi?

R. Sono tuttora un funzionario di banca che cerca con molte difficoltà  di conciliare l’impegno lavorativo col crescente spazio che la scrittura e il lusinghiero successo di Ricciardi richiedono. Sono uno scrittore fortunato, come sai il passaparola tra i lettori ha fatto in modo che i romanzi si diffondessero a macchia d’olio e che l’interesse attorno al personaggio e quindi al suo autore crescessero in misura esponenziale, ma devo dirti che vorrei avere molto più tempo da dedicare alla promozione. Oggi in Italia i numeri delle vendite non supportano se non in rarissimi casi la scelta di dedicarsi unicamente alla scrittura: quelli che ci riescono integrano con attività collaterali, come collaborazioni a giornali, sceneggiature, conferenze, presentazioni o partecipazioni a festival e incontri. E’ rarissimo che le sole vendite consentano scelte radicali di vita e di professione. Ti faccio un esempio: il primo romanzo di Ricciardi, “Il senso del dolore”, è uscito a fine giugno in Germania; un romanzo nuovo di un autore nuovo, italiano, sconosciuto alla platea dei lettori tedeschi; ebbene, in tre mesi ha venduto circa 20.000 copie. Numeri che qui da noi un romanzo di discreto successo che esce per un editore di medie dimensioni totalizza in un anno... continua QUI

Pubblicato il 11/02/2010
 
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