IL PASSAGGIO

 

Ci siamo. Ecco cosa capisce Carlo non appena riceve la telefonata di suo padre. Un pensiero immediato, che non lascia dubbi. Ci siamo.

PIETRO GROSSI, IL PASSAGGIO, FELTRINELLI

E infatti basta quella telefonata per spezzare in un attimo, in un breve scambio di battute, la regolarità della sua vita londinese, il lavoro allo studio di architettura, le sere e i fine settimana allegri con la moglie Francesca e i gemellini. “Sapevo che prima o poi il momento sarebbe arrivato, il tempo in cui avrei dovuto fare i conti con l’essere un uomo, con l’essere un padre, con la distaccata consapevolezza di trattare chi mi aveva messo al mondo per ciò che era. Il tempo in cui si dà un nome alle cose, in cui collocare nel posto giusto le intemperanze, gli imbarazzi, le frustrazioni, le distanze, la rabbia, il biasimo, il disprezzo. Il tempo di dare un’identità al mio addio, alla mia incapacità di ripercorrere la distanza che ci separava e che lo aveva spinto fino ai confini del mondo.”
Il padre – un padre debordante e iroso, intemperante e pieno di genio, da cui Carlo ormai da anni si tiene a distanza di sicurezza – lo chiama da Upernavik, Groenlandia, per chiedergli di aiutarlo a portare una barca, il Katrina, da lì fino in Canada. Perché il passaggio del titolo è il celeberrimo passaggio a Nord-ovest, ed è su quelle acque pericolose e fra quei ghiacci, fra quelle solitudini e gli sporadici incontri con gli inuit delle coste, che ha luogo il confronto fra un padre e un figlio. Perché il passaggio, è chiaro, non parla solo di rotte geografiche, è soprattutto il superamento di un confine, un avvicinamento ai propri mostri, un attraversamento conradiano. E Pietro Grossi, con l’esperienza di chi in mare ci è cresciuto e conosce gli strumenti della navigazione così come sa bene quelli della narrazione, giocando con i grandi classici della letteratura come i cuccioli di balena con lo scafo del Katrina, ci porta dentro quegli abissi che i grandi romanzi di acqua e oceani hanno il potere di spalancarci davanti.

QUI la rassegna stampa, QUI Ermanno Paccagnini su La Lettura del Corriere della Sera, QUI Avvenire, QUI la Gazzetta del Sud, QUI La Stampa TTL, QUI Faherenheit, QUI Lifestyle, QUI Valeria Parrella su Grazia, QUI i consigli di Pietro Grossi su Donna Moderna, di seguito il pezzo di IL Magazine del Sole24ore:

Un padre, un figlio

Antiretorico, conradiano, ecace e rapido. È tornato Pietro Grossi

Giacomo Giossi

Pietro Grossi con Il passaggio straccia ogni retorica (e i suoi conseguenti piagnistei) attorno al rapporto padre e figlio. Il romanzo prende infatti per Grossi la forma compiuta e sottile, imprevedibile e affilata di una linea di passaggio. Una vera e propria sfida all'epica di un dialogo che fu interrotto tra il figlio architetto e mezzo londinese e un padre che ricorda un personaggio alla Franco Fabrizi con l'evidente peso di un eroismo obbligato agli occhi del figlio. Non è la passione e non è nemmeno l'avventura a muovere i due personaggi, poli estremi di una narrazione all'americana in cui i confini e gli orizzonti fanno a pugni con la razionalità e con la buona volontà delle buone intenzioni. Ne Il passaggio non conta più cosa è giusto e cosa è sbagliato, ma cosa è necessario. Non contano la razionalità e il senso di giustizia ormai lacero di un secolo che nei fatti è quanto di più selvaggio e imprevedibile si potesse mai pensare. Il padre non porta protezione, ma rischio e anche paura. Un padre Diogene che illumina i punti oscuri di una narrazione contemporanea che rassicurando ha reso il mondo insicuro anche dentro casa e un figlio che, spogliatosi dalle rassicurazioni e dalle consolazioni anche retoriche di un passato inutilizzabile, è costretto ad affrontare l'orrore che fu di Conrad guardandolo in faccia e solo in questo modo riducendolo. L'orrore non più come esclamativo punto di arrivo, ma ostico punto di partenza, dato di fatto, realtà intrisa di vita possibile. Libro rapido e dalla scrittura efficacissima, Il passaggio sovrappone avventura a necessità in un conflitto rigenerativo e salutare dentro al quale rivive uno spazio di vita e di relazione nuovo perché finalmente riconoscibile. 

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